Charles  Bernstein

Tra i tanti meriti letterari e non, introdotti dai poeti Beat, c’è senza dubbio la diffusione del reading che ha popolarizzato la poesia nel senso che grandi folle sono accorse ad ascoltare il verbo poetico come non mai, almeno in terra californiana. Leggere una poesia non è facile, sorgono tanti interrogativi né tantomeno scriverla, Eliot o Ungaretti stesso ricordavano che il cosiddetto verso libero non era per niente libero. Bernstein in anni ancora sotto l’onda lunga dei beatnik intraprende una coraggiosa impresa che viene in seguito ribadita anche dai poeti sonori. Non rinuncia a narrare il vissuto ma lo organizza tecnicamente con più piste, attutendo l’effetto esistenziale e dando più spazio al brusio di fondo, al frammento simultaneista, per questo sembra di assistere non a un monologo ma a brandelli di frasi provenienti da fonti diverse. Ancora una volta il potere dell’ambiguità emerge a salvare il poema. Attorno a questo nucleo di base vengono dispiegati i tipici attributi orali, come la ripetizione sotto forma di ossessione e attacco al dialogo convenzionale, la permutazione di frasette quotidiane, lo sdoppiamento di fonetismi infantili intercalati da cantilene quasi virtuosismi vocali. Appare evidente che il linguaggio viene usato come un materiale neutro da modellare secondo cadenze più improvvisate che studiate a tavolino, mettendo in un canto il diretto contenuto tanto decantato dai Beat, in questo senso i poemi di Bernstein, in questa sua prima maniera, rivoltano la lingua come un guanto obbligandola a confrontarsi con se stessa affinché le contraddizioni vengano messe a nudo. Un brano come Sen-Sen, per esempio, prospetta un ventaglio di operazioni che si fondano in modo originale sulla onomatopea, sul potere assoluto della sillaba, evitando con cura ogni vocabolo che in questa girandola di pulsioni buccali, risulterebbe totalmente fuori posto, spesso i cosiddetti tonemi si rivelano più penetranti in termini di comunicazione.

 

Coco-Rimbay, audiocassetta autoprodotta 1976, courtesy Charles Bernstein.

Courtesy PennSound