Bliem Kern
Courtesy Poetry Foundation.
Astrologo di professione, è abituato a ricorrere a formule o riti lontani dai normali condizionamenti comportamentali. Il suo ke kee kee alahbo, è il tentativo di aprire un dialogo con Dio. Il sottotitolo recita Who scares God? perché per entrare in contatto con un’entità superiore a noi occorre utilizzare non il nostro usuale discorrere ma un qualcosa che ancora non esista.
Ecco allora l’ooloo «a poetic language synthesized by Kern himself», molto frammentato, e strutturato con una secca accentuazione . Dando un’occhiata allo schema d’esecuzione come io amo chiamare ciò che gli altri chiamano spartito, per me un errore basilare perché la definizione di spartito richiama la musica che, come è noto, non c’entra per nulla con la poesia sonora. Allora lo schema d’esecuzione del brano qui compendiato, oscilla tra suoni gutturali, monosillabi quasi onomatopee e parole comuni come thought, butterfly e Gods. E nel pezzo corrispondente, la ripetizione ossessiva del lacerto et vous fortemente echizzato al limite del rumorismo sembra quasi un invito a seguirlo lungo questa strada alla ricerca di Dio, una domanda retorica come dire «e voi che fate?», una domanda coinvolgente cui non si può non rispondere. Assume importanza primaria nel suo lavoro la tematica mistica come si evince da una dichiarazione di poetica apparsa in Poetry Australia n.59 del 1976, dove la disposizione del testo, stampato secondo i dettami della poesia concreta, ci rammenta un’immagine divina in preghiera. Qui si legge un verso sibillino «death rebirth prosperous crops», e allora l’ooloo language potrebbe essere proprio la parlata adottata dopo la reincarnazione.