Tibor Papp
Courtesy Instituto Ungherese di Parigi.
Con Pogany Ritmusok (1964-81) s’inserisce nel solco della tradizione sonora europea. Lascia il suo paese d’origine, l’Ungheria, nel 1957 per installarsi a Parigi, giusto in tempo per assorbire gli ultimi influssi lettristi, sto pensando a Lettre rock di Maurice Lemaître che è proprio di quell’anno. Cito quest’ultimo brano perché i due lavori, a conti fatti, sono molto simili, partono dalle stesse premesse anti-linguistiche per seguire percorsi opposti. Non c’è dubbio che la poesia sonora non ha nulla a che fare con la musica, non si appoggia al pentagramma né ha nelle proprie corde lo strumento delle note. Però, avvalendosi dell’andamento ritmato finisce per cedere o all’eufonia o alla cacofonia pur mantenendosi distante e ben distinta sia dalla tipica canzone che dall’opera lirica. Lemaître individua nella sillaba du il perno sonoro onde veicolare la tipica andatura rockeggiante sulla quale innesta per contrappunto sequenze di neologismi ottenuti per lallazione, all’ascolto sembra il refrain che si canticchia quando ci si rade alla mattina davanti ad uno specchio. Scompare la parola, resta il ritmo della lettrie come riflesso linguistico.
Anche Papp manifesta apertamente il rifiuto del codice comunicativo «to decompose structures breaking down the principles of the language communication». Le sue cadenze, però, si rifanno a quella tradizione popolare fatta emergere dagli studi di Béla Bartók, per esempio il lassu che è una danza lenta che a poco a poco diventa vivace trasformandosi nel friss (lassu e friss sono le due parti del verbunkos). Il riferimento popolare oltre ad essere già evidente nel titolo, va identificato nei lacerti lessicali e nell’uso del tamburello.
Aggiungo, per approfondire ancora la differenza tra i due pezzi, che il lettrista mantiene fede ad un purismo esecutivo dove la voce è solo e soltanto la voce registrata senza alterazione alcuna, mentre Papp sfrutta di più il mezzo tecnologico introducendo effetti arditi per l’epoca, alludo al riverbero e all’eco, anche al multiplay, il raddoppiamento delle piste su cui incidere. Il multiplay diverrà soprattutto il marchio di fabbrica di Heidsieck e verrà sfruttato da schiere di poeti sonori nel corso della seconda metà del Novecento. Il brano qui presentato è tratto da un più corposo materiale, presente nel mio archivio in forma di tre audiocassette, Déville (1979), hAVATAS(1981) e anDANTE (1982).