Klaus Groh
Courtesy Oldenburger Portal.
Non è sempre detto che ci siano grandi messaggi da trasmettere, in genere nella poesia sonora e nei poemi fino ad ora qui archiviati, è così, risulta molto evidente il tentativo di tendere alla Letteratura come direbbe Paul Zumthor. Però è anche vero il contrario e per questo occorre scomodare il divertissement, lo svago che libera la mente di chi crea e di ascolta. È il caso di Klaus Groh abile nel rielaborare questo lavoro presentato nel 1979 al Festival di San Francisco. Fin dal titolo appare chiaro il riferimento al Dada, qui inteso proprio come gioco nel senso più azzeccato del termine, paidia secondo gli studi di Roger Caillois che con questo concetto parla di gioco libero, improvvisato, frutto di mero istinto. Una vera danza del da, scacciapensieri, a fondo perduto, uno scarico mentale, tenuto vivo da una costanza tonale al limite del sussurro. A differenza del lettrista Lemaître, inserisce in sottofondo ciò che sembra essere un blues o a tratti un bebop con i quali si rapporta senza modificare l’andamento della danza Dada, un dialogo avulso, più che riferirsi a quelle ritmicità consolidate dal consumo di massa, pare inseguire un proprio pensiero tonale, un assolo di una Dadadance. Un uso citazionista della musica, uno dei tanti possibili, purché essa sia mantenuta sempre a debita distanza dalla voce come succede esemplarmente anche qui. Alla fine, ascoltiamo uno scherzo, si direbbe in ambito operistico, ma anche lo scherzo nasconde profonde virtù come spesso grandi verità si annidano nella banalità.