Filippo Tommaso Marinetti
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La Declamazione dinamica e sinottica, Manifesto Futurista, del 12 marzo 1916, tra le tante dichiarazioni è quello più ricco di indicazioni per una performance.
Le tavole parolibere fungono da schemi d'esecuzione antelitteram, anche perché a ben guardare non ci sono indicazioni precise sulla condotta fonica da tenere in scena, questo aspetto viene lasciato al caso del momento, mentre il linguaggio scorre via veloce; pare che la stessa analogia fosse stata inventata per velocizzare il flusso linguistico senza intoppi sintattici; la grande intuizione sul valore reale della onomatopea su cui lavorerà in particolare Depero attraverso la sua onomalingua (verbalizzazione astratta del 1916).
Poi il corpo si mette finalmente in vero movimento, da una parte all'altra della sala contro il passatismo statico e marcescente, e gli oggetti e i campanelli e la danza di Giannina Censi, insomma, non si può non ammettere che questo è il vero inizio della performance.
Marinetti è il fine dicitore per eccellenza, l'istrione da palcoscenico, nel suo tronfio maschilismo e nella sua esuberanza oratoria, purtroppo non farà scuola, basta ascoltare un Cangiullo o un Jamar 14 (alias Pierino Gigli) per capirlo al volo; c'erano belle costruzioni avveniristiche come il Feu d'artifice di Giacomo Balla (si veda la felice ricostruzione di Elio Marchegiani, 1967), ottime luci ma niente suono, oppure lo sbotto rumorico dell'Intonarumori di Russolo, ma questo bisogna ascriverlo sotto la sigla della musica concreta.