Fabio Doctorovich
Courtesy UBA.
Curiosamente nella audiocassetta che mi ha donato negli anni Novanta quando insieme partecipammo ad un festival a San Paolo del Brasile, ha scritto una dedica, «Para mi amigo Enzo, esta schifezza!», proprio in italiano e col punto esclamativo finale. Può darsi che non avesse pienamente coscienza del valore di quel materiale o che volesse mettere le mani avanti o forse quel termine, che mi ha subito colpito quando sono andato a riprendere la cassettina nello scaffale dell’archivio, vuol invece dire che ha messo dentro a Nuiórc tutte quelle schifezze che si annidano nella società dei consumi. Non è un caso se ha scelto New York come titolo, anche se scritto come viene pronunciato, quindi noi lo percepiamo come storpiato. Ecco allora la chiave di di ascolto di questi brevissimi poemetti il cui scopo è distorcere, maledire, esorcizzare alcuni luoghi comuni. Hanno la velocità delle pugnalate per scagliarsi contro l’encierro, la religione, l’arte, gli occidentali, la porca miseria (la Vida puta) e in genere verso tutte quelle cazzate (Boludez) così esorbitanti ed alienanti nel nostro vivere. Naturalmente si guarda bene dall’usare la poesia come fosse un’arma contundente, però riesce a confezionare dei mini brani dove saggiamente spezzoni di parole non vanno oltre il baluginio subitaneo, ben assortiti in moduli tecnologici abili nel sostenere uno sfondo che poi si assesta sempre in primo piano. Quando dico che la poesia sonora è solo una pervicace stimolazione mentale, intendo riferirmi anche a poemi come questi di Fabio che, forte di uno schema di esecuzione molto meditato, si addentra nei meandri della composizione fonetico-rumorica senza alcun rischio di smarrirsi o incocciare l’impasse.