Raoul Hausmann
Courtesy Soundohm.
A differenza di Hugo Ball, che nel 1916 dichiarava di aver scoperto versi senza parole, in realtà neologismi, mostruosità linguistiche, parole mai viste e sconosciute, ma parole, Hausmann, presenta suoni o fonemi svincolati totalmente dalla funzione semantica, è il primo ad affondare il bisturi poetico nella materia pre-linguistica. Vero che Frank Popper lo annovera tra i precursori dell'arte cinetica citando la sua opera Optophone à clavier del 1927, ma ai fini del nostro discorso vale molto di più l'aspetto optofonico dei suoi poemi, perché, senza arrivare alla bellezza grafica delle tavole parolibere futuriste, la sua optofonia consiste nello scrivere sul foglio la grandezza o spessore della lettera relazionata all'intensità del suono, una visualizzazione della voce, quindi, un controllo del timbro e dell'altezza vocale attraverso i caratteri grafici.
Come i futuristi si avvalgono dell'analogia tra parole, qui l'associazione scoppia tra suoni, reminiscenza forse di lingue straniere o onomatopee; bandito l'aggancio semantico, in piena inintelligibilità, restano la laringe e le corde vocali a dominare il poema che, lo si capisce da sé, è una vera lotta, un banco di prova, perché la sua ricerca non ha quel senso liturgico di Ball, o quello teatrale di Albert-Birot o quello giocoso di un Morgenstren o Scheerbart.